BPCO, “stabilizzarla” è possibile. Presente e futuro della COPD stability
- Stabilizzare la BPCO è oggi un obiettivo clinico realistico: gli studi mostrano che è possibile mantenere per mesi la malattia sotto controllo, riducendo peggioramenti, riacutizzazioni e migliorando la qualità di vita.
- Evidenze recenti (pubblicazione Singh et al. 2025, abstract dai congressi ERS e ATS 2024/2025) dimostrano che la triplice terapia consente a oltre 1 paziente su 4 di mantenere tale stabilità fino a un anno, un risultato significativo per una patologia cronica e ingravescente.
- Un nuovo paradigma per il trattamento dei pazienti e per il sistema sanitario: stabilità significa prospettive più positive, minori ospedalizzazioni, a fronte di una malattia così grave da essere la terza causa di morte a livello globale.
Milano, 8 ottobre 2025 – Cronica. Ingravescente. Recidivante. Quando si parla della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), sigla che riunisce le vecchie bronchite cronica ed enfisema polmonare, la percezione è quella di una patologia inarrestabile nel suo decorso. Ma oggi, almeno in alcuni casi, non è più così. Si può finalmente cambiarne la prospettiva: la BPCO si può stabilizzare, per diversi mesi, grazie ad un approccio terapeutico appropriato ed efficace. L’obiettivo diventa raggiungibile con il concetto emergente di COPD Stability (chronic obstructive pulmonary disease), inteso come obiettivo terapeutico: mantenere nel tempo una condizione di stabilità clinica che consenta di “rallentare” anche per mesi il danno delle vie respiratorie. Questo obiettivo si traduce in un azzeramento delle riacutizzazioni senza avere un peggioramento della qualità di vita e dei sintomi. Esistono già evidenze che mostrano come grazie alla triplice terapia, si possa arrivare addirittura ad un anno di “stabilizzazione” della patologia in oltre 1 malato su 4. Lo dicono i dati post hoc derivanti dagli studi IMPACT e FULFIL, presentati pochi mesi fa al Congresso dell’ATS (American Thoracic Society) negli USA.
Secondo The Lancet Respiratory Medicine (2025), basato su dati aggiornati al 2021, la BPCO colpisce oltre 213 milioni di persone nel mondo, cifra basata sui casi diagnosticati e confermati. Tuttavia, stime epidemiologiche più ampie, riferite dalla International Respiratory Coalition, che includono anche i casi non diagnosticati, indicano che il numero reale possa superare le 300 milioni di persone, corrispondenti a una prevalenza globale dell’11,7%. Sempre con riferimento al 2021, le malattie croniche non trasmissibili (NCDs) hanno causato oltre 43 milioni di morti, di cui 4,4 milioni per patologie respiratorie croniche, con quasi il 40% dei decessi in persone con meno di 70 anni. In Italia, i dati confermano un aumento delle patologie respiratorie croniche, troppo spesso diagnosticate tardivamente, mentre i sintomi iniziali – tosse persistente, affanno, infezioni ricorrenti – restano sottovalutati.
Come può cambiare la situazione
“Oggi la stabilizzazione della malattia nelle persone con BPCO può rappresentare un obiettivo terapeutico realistico – spiega Fulvio Braido, Direttore Clinica Malattie Respiratorie e Allergologia - Ospedale Policlinico IRCCS San Martino di Genova – È un indice composito i cui elementi sono l’assenza di riacutizzazione in un anno di osservazione, il miglioramento persistente dello stato di salute, la stabilizzazione della funzione polmonare (FEV1). Gli studi dicono che è un obbiettivo raggiungibile e che la triplice terapia porta a stabilità una maggior percentuale di pazienti rispetto alle associazioni di due farmaci”.
Per definire la stabilità della BPCO, è importante considerare tre aspetti fondamentali: la funzione polmonare, il rischio di riacutizzazioni e lo stato generale di salute del paziente. La funzione polmonare si misura attraverso un test spirometrico che valuta la capacità di respirare (ad esempio il FEV1, che indica il volume d'aria espirato in un secondo). Lo stato di salute e la qualità della vita, invece, vengono analizzati con strumenti validati, come questionari che indagano l'impatto della malattia sui sintomi e sulle attività quotidiane (ad esempio CAT o SGRQ). Questi parametri sono fondamentali per monitorare i progressi e personalizzare il trattamento.
La COPD Stability è quindi un nuovo paradigma che punta a dare una prospettiva diversa a una malattia tradizionalmente percepita come inevitabilmente ingravescente. “Oggi abbiamo la possibilità di fissare obiettivi concreti e misurabili – come il mantenimento della funzione polmonare, l’assenza di riacutizzazioni e un buono stato di salute riferito dal paziente – e di monitorarli nel tempo per orientare scelte terapeutiche più efficaci – segnala Braido - Per i pazienti, significa vivere meglio e più a lungo, riducendo le ospedalizzazioni, affrontando con maggiore serenità le attività quotidiane e beneficiando di percorsi terapeutici più lineari. Insomma: parlare di stabilità nella BPCO significa offrire ai pazienti una prospettiva nuova e positiva che consenta di guardare al futuro con più fiducia”.
Importante aumentare le conoscenze
La pubblicazione Singh et al., pubblicata nel marzo 2025 sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, ha chiaramente dimostrato come la stabilizzazione della malattia possa essere considerata un obiettivo clinico raggiungibile con un trattamento ottimale in maniera significativamente migliore rispetto al trattamento a due farmaci. Gli stessi dati, presentati anche al recente congresso ERS 2025 di Amsterdam hanno confermato i benefici in tre domini fondamentali: funzione polmonare, riduzione delle riacutizzazioni e qualità di vita “Gli studi ci dimostrano che la stabilità non è un concetto astratto – commenta Marco Contoli, professore associato malattie apparato respiratorio Università di Ferrara e Direttore Pneumologia Territoriale AUSL Ferrara - Disponiamo di dati di real life, che mostrano differenze tra le opzioni terapeutiche disponibili, in particolare sugli outcomes rilevanti per la BPCO quali le riacutizzazioni (tasso e rischio) e ancora più interessante sulla mortalità. Questo ci dice che le terapie farmacologiche quando calate nella pratica clinica quotidiana non sono tutte uguali e che le scelte terapeutiche, se personalizzate caso per caso, possono davvero fare la differenza. In questo senso, in futuro, auspico un sforzo sempre maggiore da parte dei professionisti sanitari coinvolti nella gestione di pazienti con patologie respiratorie croniche al fine di identificare il più precocemente possibile i pazienti, ottimizzarne il percorso di cura, stabilizzarne l'andamento nel tempo ed in ultima analisi migliorare la prognosi”.
L’impegno di GSK
A chiudere i lavori, Donato Cinquepalmi, Respiratory & CEP Medical Head di GSK, che ha sottolineato: “Come in azienda sosteniamo la ricerca e il confronto scientifico perché crediamo che la stabilità possa diventare un obiettivo concreto nella gestione della BPCO. Il nostro impegno è quello di accompagnare i clinici e i pazienti in questo percorso, affinché i dati della ricerca si traducano in un beneficio reale nella vita delle persone”.
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